Andò al Bifest, tra Fellini, Rosi, Cimino e Coppola

Con la proiezione dell’ultimo film di Roberto Andò, “Una storia senza nome” al Teatro Petruzzelli, si è aperta stamattina la Masterclass del regista e scrittore cui stasera verrà conferito, sempre nello storico teatro barese, il Federico Fellini Platinum Award.
“Viviamo in un tempo in cui vengono annunciate false rivoluzioni e false promesse, c’è un aspetto illusionistico della politica di oggi che non vuole altro che mantenere il potere per il potere”.
Il potere di oggi è impotente ma predica per attivare qualcosa che non è in grado di praticare”. “Vecchio e nuovo potere alla fine si confondono”. “La politica è condannata alla finzione, è più o meno quello che sta accadendo oggi”. “Il potere ha delegato all’economia ogni decisione perché non è in grado di prenderne”. Politica e potere sono state al centro di molte delle riflessioni che ha offerto stamattina il regista Roberto Andò nella sua Masterclass al Teatro Petruzzelli. Riflessioni scaturite dalle domande del critico Enrico Magrelli soprattutto su alcuni dei suoi film come “Viva la libertà” e “Le confessioni” e da quello che è, ad oggi, il suo ultimo lungometraggio “Una storia senza nome”, già presentato fuori concorso all’ultima Mostra del Cinema di Venezia e riproposto stamattina prima della Masterclass del regista. “Un film sul cinema ma anche una metafora sul dileggio della bellezza”. Tra i protagonisti del film Renato Carpentieri, presente in sala e che Andò ha anche diretto recentemente a teatro con il suo adattamento di “La tempesta” di Shakespeare. “Con Carpentieri abbiamo asciugato il personaggio di Prospero, lo abbiamo reso contemporaneo. Quella di Shakespeare, d’altronde, è una di quelle grandi opere che servono per capire una crisi, per capire un mondo che va in rovina, per capire il complotto del potere”. Il potere, ancora.
Roberto Andò, anche scrittore, autore e regista per il teatro e per l’opera, si è affacciato al cinema in punta di piedi, facendo da assistente a registi come Federico Fellini, Francesco Rosi, Michael Cimino, Francis Ford Coppola. “Per la mia generazione sono stato controcorrente, ho iniziato a lavorare sui set in un periodo in cui tutti prendevano subito in mano la macchina da presa e giravano i loro film. Io invece ho fatto un vero e proprio apprendistato durante il quale ho potuto osservare da vicino e addirittura collaborare con grandi artisti dai quali ho imparato il senso della libertà”.
Per ciascuno dei grandi Autori con i quali ha lavorato, Andò ha avuto parole di riconoscenza e ammirazione. “Fellini era il più misterioso, non abbiamo veramente legato ma non ho mai visto nessuno lavorare come lui, aveva un modo di organizzare le riprese assolutamente unico, riusciva a creare una geometria perfetta in mezzo al caos assoluto. Sul set di ‘E la nave va’ mi volle sempre vicino alla coreografa Pina Bausch, che aveva scelto come attrice ma che temeva avrebbe abbandonato le riprese dopo avere visto il suo particolare approccio alla regia. Per una scena le chiese di cantare semplicemente una ninnananna anziché recitare le battute previste, tanto poi le avrebbe cambiate al montaggio”.
“Con Francesco Rosi, per il quale ho lavorato in ‘Cristo si è fermato ad Eboli’ si creò invece una grande amicizia, ci sentivamo al telefono anche tre volte al giorno. Era un grande professionista che seppe esprimere una drammaturgia civile. Ora sto lavorando con sua figlia Carolina e sono emozionato perché mi sembra di lavorare con una sorella”.
“Francis Ford Coppola mi colpì per la convinzione e il dubbio con il quale girava un film, ‘Il Padrino Parte III” che era una battaglia della quale non era del tutto persuaso. Era un regista disincantato, uno che ne aveva viste veramente tante. Ma anche molto audace: per una scena sulla scalinata del Teatro Massimo di Palermo, che lui immaginava come una scena d’opera, voleva che dietro la macchina da presa ci fosse Peter Brook ma poi dovette accontentarsi di un regista di routine”.
A proposito di Michael Cimino, con il quale ha collaborato per “Il siciliano”: “Con lui ho molto legato, siamo stati insieme in Sicilia per ben sei mesi, era sempre alla ricerca di location particolari perché il paesaggio era il vero protagonista dei suoi film, come per John Ford. L’ho visto per l’ultima volta a Roma, durante una cena, era già trasfigurato dai vari interventi di chirurgia estetica. ‘Tu pensi che io stia diventando donna?’ mi chiese. In realtà pensai che fosse un uomo che stava male, che aveva subìto la fine di quel cinema che lui aveva così bene incarnato e che non si faceva più, non ha retto il fatto di non potere più girare”.
Nel corso dell’incontro c’è stato anche il tempo di ricordare affettuosamente Bruno Ganz, recentemente scomparso, che recitò per Andò nel primo lungometraggio del regista, “Diario senza date”. “Sono poi tornato a lavorare con lui per ‘Il caso Kafka’ con Moni Ovadia affidandogli la voce dello scrittore. E lui volle registrarla recitando a memoria, senza leggere il testo. Mi colpì profondamente”.

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